L’11 Febbraio di cent’anni fa nasceva a Ragusa Ottavio Missoni, un uomo che ha saputo incarnare quello spirito d’impresa e di voglia di rinascita che ha caratterizzato tanti italiani cacciati dalle loro terre al confine orientale del nostro Paese.
Missoni, zaratino, ha conosciuto infatti il dramma dell’esodo dal luogo in cui era nato e l’amarezza della prigionia durante il secondo conflitto mondiale: prigioniero degli inglesi ha trascorso cinque anni dietro il filo spinato. Nonostante ciò ha trovato la forza ed il coraggio per creare un’attività imprenditoriale nella moda dando vita ad uno dei marchi tuttora più apprezzati nel mondo.
L’immagine che però di lui ci lascia il figlio, Luca, che abbiamo interpellato per celebrare l’anniversario del grande Stilista, è quella di un giovane Ottavio grande atleta, dotato di una perenne energia (che trasmetteva a chiunque gli fosse stato vicino), arricchita da una fertile mente creativa. «A parte l’orgoglio celato di essere diventato “Sindaco del Libero Comune di Zara”, carica simbolica attribuitagli dall’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, mio papà», spiega Luca, «era molto fiero del suo passato d’atleta mentre trascurava di sottolineare la sua capacità di avere riempito il mondo di colori e di motivi geometrici che sono ancora oggi alla base del suo – e oggi nostro – stile».
L’aspetto inedito che allora qui registriamo è dunque quello di un Missoni sportivo che, lasciata la città natale e giunto all’età di sei anni a Zara, dove s’era trasferita la famiglia, manifesta interesse per la corsa. Fin dall’adolescenza, con coerente costanza, s’impegna quindi a raffinare le tecniche per cimentarsi in modo professionale nelle piste degli stadi.
«Mio padre aveva uno spirito competitivo e a 16 anni, era il più giovane Azzurro nella Nazionale di Atletica Leggera, dimostrandosi già una promessa», conferma Luca. «Nel 1937 all’Arena di Milano supera il 24enne americano Elroy Robinson, primatista mondiale nei 400 metri in 48″,8, la miglior prestazione mondiale di un allievo e la miglior prestazione italiana di un sedicenne, record che manterrà per 75 anni. Con la maglia della Nazionale, nel 1939 a Vienna, ai campionati mondiali studenteschi, conquista la medaglia d’oro dopo avere vinto a Torino il primo dei sette titoli italiani».
Chiamato alle armi nel Genio militare, nel 1942, durante la battaglia di El Alamein, è catturato ed internato in un campo di prigionia in Egitto. Parlando con amici e parenti liquiderà questa esperienza con pungente ironia: «Sono stato ospite degli inglesi». Per un lustro il Geniere, prigioniero di guerra, passerà giornate a leggere e a studiare tormentato da un caldo torrido di giorno e da un freddo rigido di notte. Un tempo comunque utile per stringe amicizie che conserverà per l’intera vita, come quella con Carletto Colombo che, dopo avere diretto “L’Avanti”, diventerà direttore del teatro Gerolamo a Milano.
Luca tiene poi a specificare che papà Ottavio «non amava raccontare le pene sofferte e le difficoltà patite». Insomma, pur brutta che fosse una situazione, egli cercava sempre il lato positivo; non amava piangersi addosso, anzi preferiva cogliere le opportunità che poteva creare una situazione avversa. Allo stesso modo non ha mai voluto indugiare sulle tribolazioni degli esuli istriani, dalmati e giuliani.
«Mio padre non ci raccontava spesso ciò che era accaduto nei suoi luoghi d’origine negli anni Quaranta e Cinquanta», prosegue Luca. «Ma ci portava in Dalmazia ogni Estate e noi ragazzi abbiamo cominciato ad avere qualche informazione solo da adulti, quando, raggiunta la prima maturità, abbiamo cominciato a documentarci e ad apprendere i fatti drammatici là avvenuti. Credo che per molti esuli, come per mio padre, l’importante fosse costruire qualcosa e guardare avanti».
Riflettendo sull’argomento Luca Missoni si attarda in alcune considerazioni. Dice: « È giusto conoscere i passaggi difficili della storia, meditare anche sulle proprie vicende personali, ma senza cadere nella commiserazione di sé piuttosto trarne motivo per rafforzarsi. La vita va vissuta in positivo. Credo che mio padre soffrisse nel ricordare quel mondo, il suo mondo, barbaramente smembrato, cancellato per sempre. Oggi si celebra il Giorno del Ricordo anche grazie ai tanti esuli, che come mio padre hanno comunque resistito all’oblio, e seppure non alzando la voce in modo sguaiato, con un impegno costante sono riusciti a farsi ascoltare dalle Istituzioni pubbliche».
La vita di Ottavio Missoni è un esempio riuscito di quella grande generazione di italiani che ha ricostruito il Paese facendolo diventare la sesta potenza industriale del mondo. A 26 anni, rientrato dalla prigionia nel 1947 (uno degli ultimi rimpatriati), riabbraccia i famigliari a Trieste perché Zara, la sua città, è ormai distrutta e non fa neppure più parte del suo Paese, essendo militarmente occupata dalle truppe titine. Nel capoluogo triestino insieme ad un amico, il discobolo Giorgio Oberwerger, apre un piccolo laboratorio di maglieria per la produzione di maglie per la Nazionale di atletica, ma il suo amore per lo sport è sempre forte e riprende ad allenarsi per correre. Nel 1948 è di nuovo nella Nazionale di atletica con la quale partecipa alle Olimpiadi di Londra dove, per dirla con il Sommo Poeta, “galeotto fu lo stadio di Wembley”, perché lì incontra la varesina Rosita Jelmini, che appartiene ad una famiglia di artigiani tessili. In realtà i due giovani s’incontrarono in treno sulla linea Londra-Brighton. Rosita sarà la compagna della sua vita e gli darà tre figli: Angela, Luca e Vittorio, quest’ultimo perito in un incidente aereo durante un viaggio nei Caraibi.
Rosita segue papà Ottavio a Sumirago, in provincia di Varese, dove, da un minuscolo laboratorio artigianale, in pochi anni, fiorirà un’imponente azienda tessile in grado di garantire migliaia di posti di lavoro. Rosita disegna e confeziona gli abiti riuscendo a dare forma concreta alla creatività del papà esaltando il suo amore per i colori. L’intera produzione del marchio Missoni è un concentrato di estro, di fusione di tinte, di forme geometriche originali che determinano uno stile davvero imponente.
C’è da chiedersi come avrebbe reagito oggi Ottavio Missoni in un’Italia ferita dal micidiale virus di Wuhan. Alla luce di quanto spiegatoci da suo figlio Luca, ipotizziamo che, con un sorriso sulle labbra, avrebbe consigliato di stringere i denti e guardare avanti traendo magari profitto dagli errori, come quello che abbiamo commesso, di andare all’estero a produrre ciò in cui noi siamo maestri: tessile docit.
Congedandoci Luca ci confida un progetto che avrebbe in animo di realizzare e di cui aveva a suo tempo già parlato al papà ottenendone un convinto assenso: aprire una scuola per lavoratori addetti all’industria tessile.
«Collaboriamo da anni con laboratori dell’ Emilia-Romagna, del Piemonte, del Veneto e, ovviamente, della Lombardia», afferma. «Usiamo macchine e attrezzature sempre più sofisticate per produrre tessuti e abiti. Se ci fosse concesso di aprire una scuola, qui in provincia di Varese, per qualificare addetti all’industria tessile, saremmo in grado di offrire nuovi sbocchi professionali a tanti giovani. Allo stato attuale, però, la legge sull’apprendistato non lo consente; e la mai resta una speranza, un bel progetto nel cassetto. Come ci ha insegnato papà, comunque, noi non demordiamo».
Tenga duro dottor Missoni l’autonomia regionale che avrebbe concesso la realizzazione di una scuola ad hoc per l’avviamento a quel tipo di lavoro specializzato come da lei auspicato – accantonata per ora dal governo dimissionario – è destinata a riproporsi con tutta la sua inarrestabile forza. Il futuro ritorna al passato, alle scuole che insegnano un lavoro produttivo.
credit Alfa Castaldi – Ottavio e Rosita Missoni